Democratici compatti su Caracas: no all’intervento armato
Usa/Venezuela. Il partito unito nell'opposizione a un golpe militare statunitense nel paese latinoamericano. Ma non c'è consenso sulle sanzioni
Marina Catucci
EDIZIONE DEL12.02.2019
PUBBLICATO11.2.2019, 23:57
La decisione di Trump di riconoscere il leader dell’opposizione venezuelana, Juan Guaidó, come capo di Stato del Paese latinoamericano è sostenuta prevedibilmente in blocco dal Gop e ha provocato reazioni non omogenee nell’opposizione. Il senatore dell’Illinois Dick Durbin è stato tra i primi a esporsi, dichiarando che Guaidó porterà «speranza e democrazia nel Venezuela di Maduro». È sembrato parlare a nome dell’establishment della politica estera bipartisan, ma sono diversi i gradi con cui il Partito democratico è più o meno disposto a mettere in discussione il modello interventista negli affari dei governi stranieri.
Nessuno dei candidati o aspiranti candidati alle presidenziali del 2020 sostiene l’opinione del consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, per cui «tutte le opzioni sono sul tavolo»: tutti hanno respinto il possibile ricorso alla forza militare per rimuovere Maduro.
Non si è schierata con Bolton la deputata delle Hawaii Tulsi Gabbard, ex militare, sostenitrice di Sanders ma molto spregiudicata in politica estera, che ha dichiarato: «Gli Stati uniti devono rimanere fuori dal Venezuela e lasciare che il popolo venezuelano determini il proprio futuro». Dello stesso parere la deputata di ultra sinistra Ilhan Omar: «Non possiamo scegliere i leader di altri Paesi per conto degli interessi corporativi multinazionali».
Bernie Sanders (forse candidato, forse no), ha subito dichiarato che gli Usa devono «imparare le lezioni del passato e non essere coinvolti in cambi di regime o nel sostenere colpi di stato» e in un thread di tre tweet ha ribadito il concetto: condannati i fallimenti economici del regime di Maduro, ha terminato ricordando che proprio perché «gli Stati uniti hanno una lunga storia di interventi inappropriati nelle nazioni latinoamericane non dobbiamo più intraprendere questa strada».
La senatrice newyorchese Kirsten Gillibrand, ex moderata, ora una delle più dure oppositrici di Trump al Congresso, sostiene il riconoscimento di Guaidó e l’imposizione di sanzioni, ma si oppone all’intervento militare. Elizabeth Warren, candidata presidente, ha espresso sentimenti simili, ma ha anche condannato l’escalation di sanzioni, il vero spartiacque nell’approccio dei democratici.
«Il popolo venezuelano – ha affermato Warren – merita elezioni libere ed eque, un’economia che funzioni e la possibilità di vivere senza la paura della violenza del proprio governo. Invece di fare incoscienti minacce di azioni militari o di sanzioni che feriscono chi è nel bisogno, dovremmo fare passi concreti per sostenere il popolo venezuelano»
Il senatore del New Jersey Cory Booker ha dichiarato che Maduro lo «allarma su molti livelli», ma che un intervento militare è da escludere, anche se non ha elaborato una posizione riguardo le sanzioni.
Pete Buttigieg, sindaco 37enne di South Bend, in Illinois, ha chiesto elezioni, libere ed eque, in modo che «il popolo venezuelano possa determinare il proprio futuro. Il governo di Maduro ha distrutto la sua pretesa di legittimazione internazionale ed è ora che si svolgano nuove elezioni». A differenza degli altri candidati liberal, il sindaco millennial – come lo chiamano i media Usa – pensa che le sanzioni siano «uno strumento appropriato per trattare con i cattivi attori politici e in questo caso dovrebbero essere usate in modo mirato a realizzare nuove e legittime elezioni, con osservatori internazionali e protezioni elettorali».
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