dimanche 19 mai 2019

ΟΜΙΛΙΑ ΤΟΥ Δ. ΚΟΥΤΣΟΥΜΠΑ ΣΤΗ ΣΥΓΚΕΝΤΡΩΣΗ ΤΟΥ ΚΚ - ΙΤΑΛΙΑ ΣΤΗ ΡΩΜΗ


L’Avvenire della nostra comunicazione


In una parola. In difesa del «quotidiano di ispirazione cattolica» per la sua sensibilità culturale e la passione giornalistica



Alberto Leiss

EDIZIONE DEL07.05.2019

PUBBLICATO6.5.2019, 23:59

AGGIORNATO10.5.2019, 6:28


Mentre il discorso politico – si fa per dire – tra i giovani maschi del governo si inabissa alla sfida sull’esposizione degli attributi, sfogliare come ho fatto domenica il «quotidiano di ispirazione cattolica» Avvenire ha prodotto per me l’effetto di una folata di aria buona.

Premetto che non sono credente e nemmeno troppo sicuro di dovermi dire cristiano, anche se ritengo le parole di Gesù un messaggio straordinario sempre attuale. Ma come non apprezzare il buon italiano in cui sono espressi numerosi buoni sentimenti e buone intenzioni – e raccontate belle esperienze – di un giornale che due giorni fa «apriva» la sua prima pagina con il titolo «Solidarietà al minimo»?

Parole che si riferiscono alla pessima politica del governo verso tutte quelle iniziative – nel «terzo settore» e non solo – rivolte alla vita di chi sta peggio e al miglioramento dei legami sociali. Ma che, lette tra «occhielli» e «sommari» sulle diatribe intorno al caso Siri, le polemiche su un ministro dell’Interno che fa solo propaganda mentre si spara nel centro di Napoli, e le minacce di crisi di governo, suonavano anche come una malinconica constatazione. La bagarre quotidiana per qualche voto in più in vista delle elezioni ha consumato ormai ogni pur minimo tratto “solidale” tra chi almeno qualche ora al giorno dovrebbe sentirsi al servizio di tutti i cittadini, non solo della propria parte.

Ma rischio di cadere nella retorica «buonista», anzi ci sono già caduto. La cosa irritante è che tutto questo clamore mediatico monocorde sul duello dei contendenti possa non avere nessun significativo effetto (tranne il generale malgoverno e l’imbarbarimento comunicativo). Tanto varrebbe ridurlo in una rubrichetta a una colonna, come una volta si faceva nelle pagine di cronaca festive per le «farmacie aperte oggi». Quello, almeno, era considerato un «servizio al lettore».

Veramente avevo acquistato Avvenire attratto da un articolo sui soldati-robot, segnalato nella rassegna stampa di Radio Radicale: in effetti un servizio interessante e inquietante di Lucia Capuzzi, dal quale si apprende che sono già centinaia, e in buona parte realizzati, i progetti di ricerca per creare macchine belliche capaci di agire da sole, in prospettiva di autonomizzarsi dal controllo umano. Non mancano, per fortuna, le reazioni eticamente consapevoli, e una campagna internazionale to stop killer robot partita già nel 2013, con 120 organizzazioni in 55 paesi, tra cui il nostro. Se ne parlerà sabato al Maxxi di Roma, a conclusione del Festival dei Diritti umani che sta itinerando da Milano a Bologna, Firenze e nella capitale.

Prima di arrivare alle pagine culturali, però, ho registrato il grido di allarme del direttore Marco Tarquinio sulle politiche di questi mesi: «… con un’asprezza di parole e di atti politici mai vista prima d’ora le reti di solidarietà sono state incredibilmente messe sotto ingiuria, sotto schiaffo e sotto processo…».

Poi ho letto un bel reportage di Elena Molinari dagli Usa: dietro le cifre della ripresa del Pil e dell’occupazione sbandierate da Trump emerge la realtà di centinaia di migliaia di persone con pensioni da fame e salari bassissimi, che vendono casa e si mettono sulla strada per inseguire lavori precari.

Qui sul manifesto – anch’esso sotto la minaccia dei tagli voluti dal fanatismo ideologico grillino – si è molto giustamente parlato a favore di Radio Radicale. Credo che altrettanto la sensibilità culturale cattolica e la passione giornalistica di Avvenire vadano difese in nome del pluralismo e della qualità del modo in cui ci informiamo e comunichiamo.
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jeudi 16 mai 2019




Mesa Redonda de 16 DE MAYO DE 2019

El Comandante del Ejército Rebelde, Julio Camacho Aguilera, firmante de la primera Ley de Reforma Agraria y Rafael Santiesteban Pozo, Presidente de la ANAP, junto a dirigentes de base del movimiento cooperativo, comparecerán en la Mesa Redonda, en vísperas del aniversario 60 del transcendental acontecimiento que puso fin al abusivo latifundio en Cuba.
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Ley Helms Burton, nula e inaplicable en Cuba (+ Video)
13 mayo 2019 +




Por: Leticia Martínez Hernández

Fotos: Roberto Garaicoa

El pasado 2 de mayo, día en que se reactivó la aplicación del Título III de la Ley Helms Burton y se abrió el banderín a las demandas contra Cuba, en el Tribunal Supremo Federal de Miami se interpuso la primera querella contra la Empresa de Cruceros Carnival, por el uso de los puertos de La Habana y Santiago de Cuba.

Los demandantes fueron Javier García Bongochea, médico que emigró 59 años atrás y se presenta ahora como el legítimo propietario del puerto santiaguero; y Mickael Behn, estadounidense residente en Reino Unido, cuya familia originaria de Kentucky poseía la compañía Havana Docks Corporation, en el puerto de la capital.



Al día siguiente, otra demanda fue presentada en una corte federal del distrito de Columbia por la compañía petrolera Exxon Mobil contra las empresas cubanas CUPET y CIMEX, la cual reclama compensaciones para las refinerías y otras instituciones que le fueron nacionalizadas al negarse a refinar el petróleo soviético adquirido por Cuba.

Y aunque parezca de ciencia ficción, estas demandas han sido tomadas en serio porque las ampara una aberración mayor: la Ley Helms Burton, “legislación que pretende hacer tan difícil la vida del pueblo, hasta que ocurra el día en que la economía y los servicios sociales colapsen, las personas se sientan cansadas o enojadas, y eso llegue a ser lo suficientemente fuerte para lograr lo que no han podido en 60 años”.

Así habló al programa televisivo de la Mesa Redonda la subdirectora general de la dirección de Estados Unidos del Ministerio de Relaciones de Cuba, Johana Tablada, para quien el verdadero propósito de la Ley es afectar al gobierno cubano, por cuanto hace difícil articular su gestión. “Es una condena a muerte a un proceso con el cual no aceptan convivir, y por tanto se le ataca desde todos los flancos”.

Si no fuera así, precisó, no se castigaría a un barco que toque puertos cubanos a pasar seis meses sin volver a puertos de la primera economía del mundo; tampoco se le prohibiría a un comerciante que venda a Cuba cualquier producto que tenga un 20% de componente norteamericano.



Qué habría hecho Cuba, por ejemplo, con los 4 mil millones de dólares que no entraron a su economía en el 2018 y los perdió por cuenta del bloqueo. Nunca sabremos cuántos inversionistas no dieron el paso de venir a Cuba, comentó la diplomática.

Al referirse al engendro que constituye la Ley Helms Burton y las justificaciones que usa para pretender su legitimidad, Tablada precisó que “el proceso de nacionalizaciones cubanas se hizo conforme a derecho, no solo cubano, sino internacional”. Incluso, nuestro proceso incluyó compensaciones y la prueba más importante fue que todos los países ─ fuera de Estados Unidos y una empresa británica ─ que tenían propiedades en Cuba y fueron afectadas por la nacionalización, cuyo espíritu fue de justicia social, se les pagó hasta el último centavo.

La Helms Burton beneficia a los malversadores, a los que se roban el erario público, a los que adquirieron propiedades como regalo del dictador Batista por sus servicios.

Recordó Tablada las cientos de familias descendientes de gallegos, por ejemplo, que fueron compensados por la Revolución, o los ciudadanos cubanos que tenían latifundios, pero se les exigió quedarse con una determinada porción de esa propiedad y por lo demás recibieron compensación. ¿Quiénes no la recibieron? Quienes abandonaron la propiedad y eso también está recogido en la ley internacional.

Cuba siempre ha mantenido un dialogo, una negociación sobre la base del respeto y la igualdad, para solucionar diferentes temas que han estado de por medio en esa relación conflictiva con Estados Unidos, pero cuando se aprueba un demonio como este, que es violatorio incluso de la Constitución de Estados Unidos, Cuba se defiende con todo derecho y reclama lo que ha perdido por esa política, por el terrorismo de Estado.



En ese sentido, la especialista comentó sobre los 22 acuerdos que se alcanzaron durante el proceso de normalización de relaciones con Estados Unidos, en el gobierno de Barack Obama, que tienen absoluto valor. No hay ellos, dijo, una sola coma que no se haya negociado en igualdad de condiciones, ahí está un pueblo digno, porque nada se les dio a ello que tuviéramos derechos nosotros. Estos instrumentos quieren ser borrados de un plumazo por los personajes que están a cargo hoy de la política de Estados Unidos hacia Cuba.

Entre esas conversaciones, apuntó, hubo tres rondas de conversaciones sobre nacionalizaciones y compensaciones mutuas. “Cuba sí ha puesto siempre en la mesa con Estados Unidos que reconocemos el derecho que asiste a las empresas estadounidenses de poder ver satisfecho algunos de sus reclamos, pero eso entraría en una reclamación Estado a Estado, donde estaría también la reclamación del pueblo de Cuba por todas las pérdidas económicas y de vidas”.

En el año 1996, puntualizó, “la ley fue recibida con mucho disgusto por la comunidad internacional, precisamente por el atropello que constituye, con disgusto también por el pueblo de Cuba pues más allá de su título III,, que va dirigido a cortar la inversión extranjera, la Helms Burton propone a Cuba volver a una etapa colonial”.

Resumió tal engendro legal en: un título I que tiene previsto castigos que para internacionalizar el bloqueo; el II con un programa de transición que es inaplicable por completo; y el III con sanciones que prevén para el resto del mundo. “La Ley Helms Burton es nula e inaplicable en Cuba y tiene como único destino la derogación”.

Sin embargo, Cuba va a seguir protegiendo a las empresas extranjeras, va a continuar estimulando la inversión extranjera ─ perfeccionándola y desburocratizándola─ y va a seguir trabajando con el mundo. “Estados Unidos es quien pierde al tomar estos pasos hoy”.

Se refirió Tablada a los gobiernos que al día siguiente del anuncio de la aplicación del título III de la Ley se pronunciaron en contra, entre ellos España, Portugal, China, Rusia, México y Canadá; también se opusieron la Cámara de Comercio de Estados Unidos, Engage Cuba y varios congresistas, tres de la Florida.

Esta legislación, destacó, beneficia a los batistianos y a la extrema derecha reaccionaria de Estados Unidos, soberbia, resentida, porque no ha podido derrocar a la Revolución cubana. “Nos sentimos tranquilos porque una vez más Cuba va a prevalecer. Estamos más preparados para enfrentarlo y pensamos que el mundo va a seguir reaccionando”.

A esta legislación aberrante, que viola las normas del Derecho Internacional, le espera lo mismo que el año 1996 cuando se instituyó, una grandísima derrota. Y no solo es la Ley Helms Burton, agregó, Estados Unidos tiene una política de persecución y de demonización de todo lo que a Cuba le genere ingresos.

DEL DICHO AL HECHO

Según el abogado español Hermenegildo Altozano, con gran experiencia en el tema, “para poder hacer una demanda, primero hay que registrarla y no pueden ser demandas frívolas, con lo cual el reclamante tendrá que probar que la propiedad le pertenecía, que fue objeto de una nacionalización sin ofrecimiento de compensación, que ese reclamante tenía la nacionalidad de Estados Unidos antes del 12 de marzo de 1996, y que la entidad o persona que está invirtiendo en esa propiedad ha recibido una notificación.”

En otras palabras, no será un camino sencillo para quienes decidan declararse dueños del más mínimo pedazo de tierra cubana.

Para defenderse de esos piratas del siglo XXI, explicó el abogado español, la Unión Europea desde bien temprano aprobó un reglamento comunitario de medidas específicas de protección frente a normas de efectos extraterritoriales. En esa cobertura, acotó, no entra solo la Ley Helms Burton, sino también la Ley Torricelli y las demás que forman parte del bloqueo, así como otras legislaciones que han afectado los intereses europeos en jurisdicciones como Irán o Libia.

Con ese reglamento la Unión Europea protege sus intereses, porque entiende que los de sus nacionales en el exterior son los suyos propios frente a ataques que presentan normas de carácter extraterritorial.

Uno de los elementos con que han jugado los patrocinadores de la Ley, puntualizó, es crear ambientes de inseguridad jurídica, de incertidumbre, que la gente no sepa muy bien qué pasa, ni cuáles son las consecuencia. “Yo le diría a los empresarios españoles y europeos que tengan calma porque hay un reglamento comunitario que los protege, que les permite demandar ante cualquier tribunal de la Unión Europea a aquel que lo haya demandado al amparo de la Ley Helms Burton… además tiene una norma que les prohíbe cumplir con esa Ley”.

A la parte cubana le diría que agilicen los trámites de la inversión extranjera, porque la mejor manera de contrarrestar una ley que busca privar a Cuba de la inversión extranjera es estimularla, pero haciéndole un camino más fácil, concluyó.



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mercredi 15 mai 2019


Correnti impreviste reagiscono, all’appello manca il mondo liberale

Antifascismo. Esiste una nuova maggioranza che da silenziosa può diventare chiassosa, all’appello manca la destra conservatrice, ma consapevole e liberale



Christian Raimo

EDIZIONE DEL15.05.2019

PUBBLICATO14.5.2019, 23:59


È vero che esiste una larga parte del paese a cui delle questioni politiche non interessa nulla; dieci anni di antipolitica militante hanno trasformato il discorso pubblico in un paesaggio depressivo, popolato al massimo di risentimenti incrociati. Ma è anche evidente che nelle ultime settimane quest’aria claustrale è attraversata da correnti impreviste.

Dopo un mese di mobilitazioni importanti – People a Milano il 2 aprile, la festa della donna l’8, lo sciopero per il clima il 15, la manifestazione a Verona contro il congresso della famiglia il 23 – il senso comune si è rapidamente trasformato e la politica non è sembrata più la stagione avvilente del teatrino dei talkshow e delle dirette Facebook. L’inquietante foto di Matteo Salvini con il mitra (23 aprile) o il giochino miserabile per cui sempre Salvini il 25 aprile è andato a inaugurare un commissariato a Corleone e a fare campagna elettorale in Sicilia sono stati due passi falsi.

La festa della liberazione quest’anno non è stata un rituale stanco: il suo essere divisivo, che per qualcuno può valere come insulto, invece traccia un confine tra due culti diversi: quello della religione civile dell’antifascismo e quello della viltà dell’indifferenza.

La polemica intorno al Salone del libro – al netto dei giudizi personali, e qui preferisco astenermi essendo coinvolto in prima persona – ha avuto un risultato innegabile: si è aperto un dibattito che ha coinvolto tutti sui temi cardinali della libertà e della democrazia. Si è creato un precedente importante: anche qui si è riscoperto – cosa per niente scontata – che la religione civile dell’antifascismo non è un culto catacombale. Si è capito che questo dibattito non può coinvolgere solo il mondo intellettuale; anche perché gli intellettuali servono a illuminare le contraddizioni, i paradossi, le mutazioni del mondo in cui viviamo. Se chiediamo a Socrate ogni volta di fare la parte di Pericle, svalutiamo il ruolo di Socrate ma soprattutto sviliamo quello che rappresenta Pericle.

Negli stessi giorni del salone di Torino a Roma andava in scena l’abietta aggressione alla famiglia assegnataria della casa di Casal Bruciato da parte di un gruppuscolo di neofascisti. Sembrava una puntata di una serie con un epilogo scontato: a Torre Maura poche settimane prima, un assedio simile aveva portato alla rinuncia di un progetto di ricollocamento di diverse famiglie rom, l’unico baluardo di resistenza era stato la testimonianza di un quindicenne poco spaventato dalle provocazioni. A Casal Bruciato invece la brutalità dell’intimidazione dei fascisti, arrivati anche a prendersela con i bambini, è stata bloccata dalla presenza di chi è sceso, nonostante la difficoltà, in piazza.

Di nuovo, non era scontato. Ancora meno prevedibile era che il giorno dopo la sindaca di Roma andasse a sostenere la famiglia rom e a prendersi i fischi, che il papa si volesse mostrare platealmente a fianco dei rom, invitandoli in Vaticano, e degli occupanti di Spin Time a Roma, con l’elemosiniere incaricato di garantire i diritti fondamentali – l’acqua, la luce – per 450 persone.

Esiste forse una nuova maggioranza che da silenziosa può diventare chiassosa: una comunità gigantesca, pacifica e democratica che si riconosce nei valori dell’antifascismo. E allora la questione è un’altra: ora sta ai liberali italiani decidere se farne parte o meno.

Per tradizione, convenienza, inerzia, distrazione, verrebbe da dire, hanno spesso rinunciato negli ultimi anni a presidiare questo campo delle libertà. In molti hanno flirtato e flirtano con i peggiori fautori delle involuzioni democratiche: da Dugin a Bannon, da Klaus a Orbán. Il sedicente sovranismo in Italia spinge per una riduzione importante dello spazio democratico; nei fatti è l’espressione di una destra conservatrice, o persino reazionaria ma liberale, ma il suo dichiarato nemico.

Il campo dei liberali è un campo conteso: proprio per questo gli esponenti di una destra matura, liberale, consapevole, hanno una responsabilità molto alta. Di sapere distinguere la difesa della libertà di espressione dalla sudditanza alla grancassa del peggiore squadrismo mediatico. Berlusconi aveva ancora presente questa distinzione (anche se ci sono stati nel ventennio berlusconiano molte tremende promiscuità, come all’inizio degli anni duemila, che non a caso hanno portato a un’elezione vinta con i voti di Avanguardia nazionale e alla macelleria messicana di Genova). La Lega di Salvini, in molte occasioni, non solo non l’ha presente, ma pratica e rivendica un’ossessione antiliberale – l’uso della polizia di stato da parte del ministro dell’interno anche come una sorta di milizia privata per ora è quasi solo evocata ma questo non riduce l’inquietudine per nulla.

Il mondo liberale deve fare una scelta di campo. La resistenza è stata possibile in Italia perché c’erano nelle file dei partigiani monarchici e comunisti, militari e disertori, atei e preti. È un’occasione importante di ricostruire una comunità, culturale e politica, che quando è divisa lo è spesso per piccole ragioni di bottega (ah, l’amore del particulare!), ma che – e si è visto in questi giorni – si può trovare a essere unita sullo stesso fronte.
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mardi 14 mai 2019


Socialisti in Europa, il Pd rassicurante e quello reale

Roberta Fantozzi*

EDIZIONE DEL14.05.2019

PUBBLICATO13.5.2019, 23:59


È una ricostruzione assai falsata del quadro europeo (e nostrano), quella che l’eurodeputato Gualtieri del Pd compie nella sua intervista al manifesto dell’11 maggio scorso. Per il passato l’ammissione di qualche errore, ma con la rassicurazione che ora saremmo in tutt’altra fase, con la fine della grande alleanza tra popolari e socialisti che ha sin qui governato l’Europa, con un Pd compattamente keynesiano a favore di «un’Europa sociale».

Un affresco rassicurante, in sostanza un invito ad affidarsi al Pd, il voto utile per eccellenza, nella riproduzione su scala continentale di un bipolarismo in cui da una parte ci sarebbe la destra nazionalista, e dall’altra i «progressisti-europeisti».
Un affresco falsato, tanto sul passato quanto sulle prospettive, e ancor di più sulla profondità della crisi che segna questa Europa e sulla radicalità del cambiamento necessario.

Partiamo dalla fine, da quella «assurda regola del pareggio di bilancio e da quella ancora più assurda del debito», cioè dal fiscal compact, la cui ratifica registrò il voto favorevole del Pd insieme all’allora Pdl, e che fu introdotto con eccesso di zelo persino in Costituzione, anche in questo caso con il voto favorevole di Pd, Pdl e Lega Nord.

Non basta un po’ di flessibilità, né basta non inserirlo organicamente nei Trattati, se poi sono le sue regole che la Commissione Ue fa valere, come continua ad avvenire. Né abbiamo visto nessuna iniziativa del Pd per cancellare il principio del pareggio di bilancio dalla Costituzione, nonostante le molteplici campagne su questo terreno, a partire da quelle promosse anche con proposte di legge, da autorevoli costituzionalisti.

Né dal Pd sono venute riflessioni critiche e autocritiche sul Trattato di Maastricht, anch’esso ratificato con i voti favorevoli dell’allora Pds, Dv, Lega Nord, con i suoi parametri arbitrari tesi a limitare drasticamente l’intervento pubblico in economica (poi peggiorati dal fiscal compact), con l’assoluta anomalia dello statuto della Bce, con la piena libertà di movimento dei capitali in assenza di regole di convergenza fiscale, salariale, degli investimenti.

E per venire alla Grecia, forse che il fatto di non aver sostenuto il falco Schauble, attenua le responsabilità per il diktat micidiale che fu imposto nel 2015 al popolo e al governo greco? E come si fa a fare la lotta ai paradisi fiscali se non si mettono in discussione quelli interni alla Ue, a partire dal Lussemburgo di Junker?

Apprendiamo anche che il futuro sarebbe un’alleanza non più con i popolari, ma «da Macron a Tsipras», a partire dall’indicazione a presidente della Commissione a favore di Timmermans. Ma a parte l’evidente forzatura per cui l’intervento di Tsipras contro Weber diventa l’intervento di Tsipras a favore di Timmermans, forse che il Macron che, solo per dirne una, ha cancellato l’imposta sulle grandi ricchezze in Francia, è il neo campione di un’alleanza progressista?

Infine per venire a casa nostra, il Pd che si dichiara contrario ad ogni ipotesi di patrimoniale, che considera il ripristino dell’articolo 18 «non una priorità», che è il più strenuo difensore della Tav in Valsusa, che si presenta con Calenda, a sua volta il più strenuo sostenitore del Ttip, ed il cui presidente Gentiloni invita Sanchez ad allearsi con Ciudadanos, è questo Pd «reale» il soggetto a cui affidare la rimessa in discussione delle politiche neoliberiste?

Sappiamo bene che c’è una destra razzista, nazionalista e autoritaria, che è il nostro principale nemico, ma sappiamo altrettanto bene che questa destra ha affermato la sua egemonia nella società in conseguenza delle politiche di questi anni, delle disuguaglianze, della precarietà e dell’insicurezza sociale che quelle politiche hanno prodotto. Per battere le destre ci vuole un’alternativa a quelle politiche. Un voto libero, a sinistra.

*candidata di La Sinistra nel collegio Centro
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mardi 7 mai 2019





INTERNAZIONALE

«Not today». Caracas risponde a Trump: «Continua a sognare»
Venezuela. I social rispondono a Bolton che chiedeva la destituzione di Maduro Mandato d’arresto per Lopez, rifugiatosi nell’ambasciata spagnola


Manifestazione pro Maduro durante il primo maggio a Caracas

© Afp


Claudia Fanti

EDIZIONE DEL03.05.2019

PUBBLICATO2.5.2019, 23:59


«Continua pure a sognare…Not today». Così, citando l’ormai mitica risposta di Arya Stark al Re della Notte nel Trono di Spade, il ministro degli Esteri Jorge Arreaza ha replicato, su Twitter, al consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton.

Il quale, rivolgendosi al ministro della Difesa Vladimir Padrino, al presidente del Tribunale di giustizia Maikel Moreno e al comandante della guardia d’onore presidenziale Iván Hernández Dala, li aveva sollecitati a procedere alla deposizione di Maduro («è la vostra ultima possibilità»).

ED È PROPRIO L’HASHTAG #TrumpNotToday ad aver spopolato nelle reti sociali in risposta al fallito tentativo di golpe di martedì scorso e alla mancata risposta di piazza – solo poche migliaia di manifestanti pro-Guaidó per le strade – di quella che l’autoproclamato presidente ad interim aveva annunciato come la «fase definitiva dell’Operazione libertà».

Un fallimento piuttosto rovinoso per il leader dell’estrema destra, sommerso da un’ondata di sarcasmo sotto un altro diffusissimo hashtag, #GuaidoOtraVezFracasó. E non è andata meglio neppure a Leopoldo López, corso a rifugiarsi con moglie e figlia prima nell’ambasciata cilena e poi in quella spagnola (su di lui ieri è stato emesso un mandato di cattura da parte di una corte venezuelana), e a 25 militari golpisti di basso rango scappati nell’ambasciata del Brasile.

Né ha certamente attenuato il senso della disfatta la ricostruzione – che appare in realtà piuttosto fantasiosa – offerta da Bolton, riproposta dal segretario di stato Mike Pompeo e infine diligentemente ripetuta dal presidente autoproclamato: che, cioè, alti funzionari venezuelani – cioè proprio Padrino, Moreno ed Hernández Dala – si sarebbero pronunciati a favore dell’abbandono di Maduro e che il presidente, pronto a salire sull’aereo che lo avrebbe condotto in esilio a Cuba, sarebbe stato dissuaso dai russi (o, a seconda delle versioni, dai cubani con l’aiuto dei russi).

«LE INFORMAZIONI sono vere, l’usurpatore era pronto ad andarsene e sono state forze straniere quelle che lo hanno obbligato a restare», ha ribadito Guaidó, assicurando che Maduro «non gode del rispetto delle Forze armate». Dichiarazioni a cui il presidente, al termine della giornata di martedì, si è riferito nel suo messaggio alla tv di stato pronunciato proprio accanto a Padrino e allo stato maggiore dell’esercito, tanto per smentire con i fatti l’esistenza di crepe all’interno della forza armata bolivariana: «Ecco fin dove arriva la stupidità, la follia e la manipolazione. Signor Pompeo, per favore, che mancanza di serietà».

E ieri il presidente è apparso nuovamente in televisione, sempre accanto a Padrino e circondato da soldati, per una marcia militare all’interno della base di Fuerte Tiuna a Caracas. «È giunta l’ora di combattere – ha detto – È giunto il momento di dare un esempio e dire che in Venezuela c’è una forza armata coerente, fedele e coesa».

LO STESSO PADRINO, peraltro, era intervenuto due volte martedì, prima su Twitter per ribadire la piena fedeltà della forza armata bolivariana alla costituzione e alle autorità legittime e poi in televisione per garantire il pieno controllo della situazione e attribuire all’opposizione la responsabilità di eventuali episodi di violenza. Episodi che, in ogni caso, non sono mancati, con violenti scontri tra oppositori e forze fedeli a Maduro cominciati martedì e proseguiti il primo maggio, e un bilancio di due morti e di decine di feriti.

Cosa possa accadere adesso, dopo l’ennesimo fallimento della frangia più estrema dell’opposizione, è difficile prevederlo. Rivolgendosi ai suoi sostenitori nel quartiere El Marqés della capitale, Guaidò ha annunciato l’avvio di un programma di scioperi scaglionati nell’amministrazione pubblica che, a suo giudizio, dovrebbe condurre a uno sciopero generale. E negando che quello di martedì sia stato un tentativo di golpe, ha dichiarato che l’unico vero colpo di stato si avrebbe con il suo eventuale arresto. Quanto a Maduro, parlando il primo maggio davanti alla «marea rossa» chavista, un’enorme folla di persone riunite a Miraflores in difesa del governo, ha convocato per domani e domenica una grande giornata nazionale “di dialogo, di consultazione, di presentazione di proposte” in direzione dei «grandi cambiamenti di cui la Rivoluzione ha bisogno».

L’ATTENZIONE, tuttavia, si sposta ora, nuovamente, verso le possibili reazioni dell’amministrazione Trump, che è subito tornato a evocare misure «devastanti» contro il governo Maduro, accusando al contempo Russia e Cuba di «destabilizzare» il paese. Con un’esplicita minaccia all’isola caraibica: «Se le truppe e le milizie cubane non cesseranno immediatamente le operazioni militari e di altro genere allo scopo di causare la morte e la distruzione della Costituzione venezuelana – ha scritto Trump in un tweet – imporremo un embargo totale su Cuba, insieme a più sanzioni».
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vendredi 3 mai 2019

CP of Venezuela, Tribuna Popular (Nº 3.005) / Mayo de 2019

5/3/19 2:36 PM
  •  Venezuela, Communist Party of Venezuela  Es South America  Communist and workers' parties
TRIBUNA POPULAR
Órgano del Comité Central del Partido Comunista de Venezuela - PCV
Edición Nº 3.005  |  Mayo de 2019


Camaradas, después de más de nueve meses de interrupción en las ediciones impresas de Tribuna Popular, como lo expresamos en su momento, «[...] a raíz de la crisis económica sin precedentes en nuestro país y su repercusión en la aguda escasez de papel prensa y demás insumos de imprenta que son importados en su totalidad»*, el periódico del PCV y de la clase obrera venezolana vuelve a librar las batallas en fábricas, universidades, escuelas, barrios y calles.
Agradecemos las expresiones concretas del internacionalismo militante clasista, que permitieron retomar una de las características distintivas de los genuinos partidos marxistas-leninistas, aunque sea, todavía, con páginas reducidas, regularidad mensual y un tiraje mucho menor al que se tuvo hasta principios del año pasado.
Frente a las actuales amenazas imperialistas y de retroceso en las conquistas obrero-populares, Tribuna Popular tiene el compromiso y la responsabilidad de seguir cumpliendo el papel asignado a la prensa leninista dentro de la lucha de clases nacional e internacional.
Dirección de Tribuna Popular



Ediciones anteriores: https://issuu.com/Tribuna_Popular 

mercredi 1 mai 2019

Guadalupe Pineda - Historia De Un Amor


Ricompare Guaidó e chiama il popolo alla rivolta militare

Attacco al Venezuela. L’appello dalla caserma La Carlota. Maduro: «Stiamo sventando un golpe di un piccolo gruppo d’estrema destra e di ex militari». Il presidente della Costituente Cabello: «Chavisti a difendete Miraflores»


Caracas, Juan Guaidò nella caserma La Carlota

© Afp


Claudia Fanti

EDIZIONE DEL01.05.2019

PUBBLICATO30.4.2019, 23:55


Il nuovo tentativo di colpo di stato contro il governo Maduro promosso ieri da un ridotto gruppo di militari sotto la guida di Juan Guaidó e Leopoldo López ha colto il paese piuttosto di sorpresa. L’attenzione era semmai rivolta alle nuove iniziative di protesta previste per oggi nel quadro della cosiddetta «Operazione libertà», lanciata lo scorso marzo dall’autoproclamato presidente ad interim come «la fase massima di pressione per ottenere la fine definitiva dell’usurpazione».

NESSUNO, in realtà, aveva preso sul serio l’annuncio di Guaidó relativo all’ennesima «giornata chiave» per la caduta del regime, il suo invito alla «marcia più grande che si sia mai vista in Venezuela»: considerando il flop delle precedenti convocazioni legate a quella che è stata sarcasticamente ribattezzata come «operazione anestesia», non si potevano certo attendere scossoni significativi.

LO SCOSSONE c’è stato invece ieri, provocato dalla frangia più estrema dell’opposizione venezuelana senza l’appoggio di alcuna guarnigione militare e senza il supporto della popolazione. Più che un tentato golpe, forse, una potente operazione mediatica, durante la quale, però, si sono uditi spari e sono stati lanciati lacrimogeni, mentre c’è chi parla anche di alcuni feriti.

L’azione ha preso avvio alle 6 di mattina, quando Guiadó è apparso nei pressi della base di aviazione La Carlota, circondato da militari pesantemente armati, per incitare alla rivolta militare. Accanto a lui il leader dell’opposizione Leopoldo López, sfuggito agli arresti domiciliari per iniziativa, a suo dire, di «soldati obbedienti alla Costituzione e al presidente Guaidó».

La rivolta, a cui ha preso parte un numero limitato ma ancora indefinito di militari, è andata in scena al distributore Altamira, uno svincolo di accesso alla città vicino alla base La Carlota, che un gruppo di oppositori ha anche cercato – invano – di occupare.

I COMANDANTI di tutte le aree territoriali del Paese «hanno espresso la loro totale lealtà nei confronti del popolo, della Costituzione e della patria», ha subito assicurato il presidente Maduro, esortando a mantenere «nervi d’acciaio» e convocando subito la più ampia mobilitazione popolare per «assicurare la vittoria della pace» nel Paese.

UN INVITO rivolto anche dal presidente dell’Assemblea nazionale costituente Diosdado Cabello, che ha esortato tutti i chavisti a recarsi al palazzo presidenziale di Miraflores per difendere la Costituzione e il presidente Maduro. «Stiamo sventando – ha detto – un tentativo di golpe di un piccolo gruppo dell’estrema destra appoggiato da ex militari e da pochi elementi dei servizi di intelligence e dell’esercito bolivariano».

E un’ulteriore rassicurazione è venuta dal ministro della Difesa e comandante in capo della Forza armata nazionale bolivariana (Fanb) Vladimir Padrino López, il quale ha dichiarato via Twitter che la Fanb «si mantiene ferma a difesa della Costituzione e delle sue autorità legittime» e che «tutte le unità militari dispiegate nelle otto regioni strategiche di difesa integrale del paese riportano una situazione di normalità nelle basi militari e nelle caserme, sotto la guida dei rispettivi comandanti naturali». Quindi, in un messaggio rivolto alla nazione alla presenza dell’alto comando militare, ha spiegato che una buona parte dei militari presenti al distributore Altamira era stata condotta lì con l’inganno «per provocare il caos» (una versione confermata anche da alcuni soldati).

DIFFICILE credere che un’azione così circoscritta – un tentativo di golpe «insignificante» a cui è stata data «una risposta immediata», secondo le parole di Padrino – mirasse davvero al rovesciamento di Maduro. È assai più probabile che l’obiettivo fosse quello di provocare una reazione da parte del governo tale da giustificare un intervento militare straniero. O anche, più semplicemente, di «battere un colpo»: a tre mesi dall’autoproclamazione di Guaidó, di fronte all’imbarazzante assenza di qualsiasi risultato concreto e all’ancor più imbarazzante diffusione nelle reti sociali di immagini e commenti satirici sull’inconcludenza del ribattezzato venditore di fumo (con l’hashtag #Guaidopurohumo), il leader dell’opposizione – potentemente ridimensionato anche sulla scena internazionale – doveva necessariamente dare un convincente segno di vita.

PIENO APPOGGIO al golpe (v. sotto) è stato espresso, naturalmente nel nome della democrazia, dal governo degli Stati uniti, che, ha garantito il segretario di stato Mike Pompeo, «sostiene il popolo venezuelano nella sua richiesta di democrazia e di libertà». E tra i primi a pronunciarsi è stato il senatore Marco Rubio, che, con toni accorati, ha esortato la popolazione a non lasciar cadere una così preziosa «opportunità»: «Non lasciartela scappare. Potrebbe non essercene un’altra».
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