L’Avvenire della nostra comunicazione
In una parola. In difesa del «quotidiano di ispirazione cattolica» per la sua sensibilità culturale e la passione giornalistica
Alberto Leiss
EDIZIONE DEL07.05.2019
PUBBLICATO6.5.2019, 23:59
AGGIORNATO10.5.2019, 6:28
Mentre il discorso politico – si fa per dire – tra i giovani maschi del governo si inabissa alla sfida sull’esposizione degli attributi, sfogliare come ho fatto domenica il «quotidiano di ispirazione cattolica» Avvenire ha prodotto per me l’effetto di una folata di aria buona.
Premetto che non sono credente e nemmeno troppo sicuro di dovermi dire cristiano, anche se ritengo le parole di Gesù un messaggio straordinario sempre attuale. Ma come non apprezzare il buon italiano in cui sono espressi numerosi buoni sentimenti e buone intenzioni – e raccontate belle esperienze – di un giornale che due giorni fa «apriva» la sua prima pagina con il titolo «Solidarietà al minimo»?
Parole che si riferiscono alla pessima politica del governo verso tutte quelle iniziative – nel «terzo settore» e non solo – rivolte alla vita di chi sta peggio e al miglioramento dei legami sociali. Ma che, lette tra «occhielli» e «sommari» sulle diatribe intorno al caso Siri, le polemiche su un ministro dell’Interno che fa solo propaganda mentre si spara nel centro di Napoli, e le minacce di crisi di governo, suonavano anche come una malinconica constatazione. La bagarre quotidiana per qualche voto in più in vista delle elezioni ha consumato ormai ogni pur minimo tratto “solidale” tra chi almeno qualche ora al giorno dovrebbe sentirsi al servizio di tutti i cittadini, non solo della propria parte.
Ma rischio di cadere nella retorica «buonista», anzi ci sono già caduto. La cosa irritante è che tutto questo clamore mediatico monocorde sul duello dei contendenti possa non avere nessun significativo effetto (tranne il generale malgoverno e l’imbarbarimento comunicativo). Tanto varrebbe ridurlo in una rubrichetta a una colonna, come una volta si faceva nelle pagine di cronaca festive per le «farmacie aperte oggi». Quello, almeno, era considerato un «servizio al lettore».
Veramente avevo acquistato Avvenire attratto da un articolo sui soldati-robot, segnalato nella rassegna stampa di Radio Radicale: in effetti un servizio interessante e inquietante di Lucia Capuzzi, dal quale si apprende che sono già centinaia, e in buona parte realizzati, i progetti di ricerca per creare macchine belliche capaci di agire da sole, in prospettiva di autonomizzarsi dal controllo umano. Non mancano, per fortuna, le reazioni eticamente consapevoli, e una campagna internazionale to stop killer robot partita già nel 2013, con 120 organizzazioni in 55 paesi, tra cui il nostro. Se ne parlerà sabato al Maxxi di Roma, a conclusione del Festival dei Diritti umani che sta itinerando da Milano a Bologna, Firenze e nella capitale.
Prima di arrivare alle pagine culturali, però, ho registrato il grido di allarme del direttore Marco Tarquinio sulle politiche di questi mesi: «… con un’asprezza di parole e di atti politici mai vista prima d’ora le reti di solidarietà sono state incredibilmente messe sotto ingiuria, sotto schiaffo e sotto processo…».
Poi ho letto un bel reportage di Elena Molinari dagli Usa: dietro le cifre della ripresa del Pil e dell’occupazione sbandierate da Trump emerge la realtà di centinaia di migliaia di persone con pensioni da fame e salari bassissimi, che vendono casa e si mettono sulla strada per inseguire lavori precari.
Qui sul manifesto – anch’esso sotto la minaccia dei tagli voluti dal fanatismo ideologico grillino – si è molto giustamente parlato a favore di Radio Radicale. Credo che altrettanto la sensibilità culturale cattolica e la passione giornalistica di Avvenire vadano difese in nome del pluralismo e della qualità del modo in cui ci informiamo e comunichiamo.
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